
Ho comprato il libro Neoitaliani, di Beppe Severgnini, edito da Rizzoli, all’aeroporto di Milano Malpensa, lo scorso fine ottobre, prima di salire sul volo che mi avrebbe riportato a Sal, una delle dieci isole dell’arcipelago di Cabo Verde, dove vivo ormai da più di dieci anni e dove spero che un giorno qualcuno apra una bella libreria. Ero andata in Italia a luglio, approfittando di un volo della Farnesina (biglietto pagato regolarmente, qualcuno pensa che certi voli siano gratis), per assistere mia mamma, durante un periodo difficile della sua vita. Ho vissuto poco l’incubo Coronavirus, quattro mesi circa. Ma mi è bastato. Poi sono rientrata in quella che viene definita la Terra del No Stress, e mi sono accorta che qui è tutto diverso, qui è tutto stranamente normale. È ovvio che anche da noi prendiamo le precauzioni del caso, ma non siamo in stato d’emergenza e per questo continuiamo a vivere all’insegna della libertà, sempre e comunque con un occhio attento a ciò che avviene attorno a noi. Ecco perché, per me, è stato ancor più interessante leggere ciò che ha scritto Beppe Severgnini nel suo libro, Neoitaliani. Mi è servito a comprendere come i miei connazionali abbiano imparato a convivere con l’emergenza, senza perdere la bussola. Mi ha ricordato le tante risorse della mia amata Italia, un patrimonio costretto dagli eventi a un letargo forzato. Mi ha fatto riflettere riguardo ai nostri difetti, sorridere del nostro modo di essere italiani e pensare a come la tanto decantata globalizzazione ci abbia inghiottiti in un sol boccone. Il Covid non ha cambiato solo gli italiani, ma i cittadini del mondo. Quelli che il virus lo hanno vissuto sulla propria pelle, quelli che hanno imparato a conviverci e quelli che lo hanno anche solo visto passare. Ha costretto noi tutti a sederci, ognuno a casa propria. Una casa che aveva bisogno di essere vissuta e che col suo calore ha riscaldato famiglie che la società pre-Covid, ossessionata dalla velocità, aveva contribuito a raffreddare. L’Italia è famiglia ed è la culla di italiani che, come scrive Severgnini, sono quello che gli altri vorrebbero essere. Gli unici ancora in grado di sorridere, nonostante tutto.