Ciao, mi chiamo Sean.
Sono inglese ma mezzo italiano.
Ci sono molti italiani a Cabo Verde?
Mille grazie.

Ciao Sean.
È un piacere che tu mi abbia scritto. Ti rispondo volentieri.
Gli italiani residenti a Cabo Verde sono 550, mentre coloro che vivono un po’ qui e un po’ in Italia, sono circa 1200. Dati ufficiosi.
Ti farà piacere sapere che quasi tutti i caboverdiani parlano italiano, chi più, chi meno. Cosa non da poco, per chi non conosce il portoghese o il creolo, dialetto locale. Il merito è dell’ing. Andrea Stefanina, un imprenditore che vent’anni fa ha deciso di scommettere su questa terra, allora di nessuno, puntando principalmente su Sal: un’isola che prima del suo avvento, viveva di pesca, oltre che di produzione di sale, e che lui ha trasformato in una meta turistica. L’ing. Stefanina ha acquistato terreni e iniziato a costruire, dando lavoro a un fiume di abitanti di questo luogo incantato, quanto incontaminato. Ovviamente lui e i suoi collaboratori, tutti arrivati dall’Italia, parlavano la nostra lingua che, giorno dopo giorno, anno dopo anno, è diventata di casa.
A partire da pagina 65 del mio libro “Fuga dall’Italia” c’è il capitolo dedicato all’imprenditore bresciano, che ha cambiato, a mio avviso in meglio, l’immagine e l’economia del luogo. Te lo allego al fondo della mia risposta, in modo che tu possa, se vorrai, tuffarti nella lettura di una bella storia d’amore, nata grazie a una questione d’affari. Stefanina è venuto qui per investire e guadagnare. Mai avrebbe immaginato che questo luogo gli avrebbe rubato il cuore.
Chissà a quanti è capitato, dopo di lui, e chissà a quanti altri capiterà. A me è successo. Il prossimo potresti essere tu.
Spero di esserti stata utile. Ti aspetto. Un caro saluto.
Carmen Vurchio

Tratto da “Fuga dall’Italia, destinazione Cabo Verde”
…Sono pronta per l’intervista con l’ing. Stefanina. L’appuntamento è alle 8,00 al Crioula, il villaggio che mi ha ospitato nell’agosto del 2010. Mi presento all’appuntamento con dieci minuti d’anticipo, chiedo al personale della reception d’informare l’ingegnere del mio arrivo, nessuno si muove, hanno paura di disturbarlo. Io invece temo di rimanere seduta sulla poltrona, in fiduciosa attesa, inutilmente, così decido di andare a cercarlo di persona, senza però riuscire a portare a casa il risultato. In compenso mi lascio trasportare dalle emozioni. Ogni angolo di questo villaggio ha per me un significato profondo: è qui che è nato il mio primo pensiero di fuga dall’Italia. Mentre la mia mente vola via leggera, lasciando spazio ai ricordi di una vacanza che mi ha stravolto l’esistenza, una caboverdiana si arma di coraggio e si lancia alla ricerca del Capo perduto. È più fortunata della sottoscritta, o forse conosce solo le sue abitudini. L’innominabile è nel nuovo bar del villaggio ed è lì che mi attende per il decantato caffè. Entro. Il luogo è luminoso, pulito e accogliente. Oltre a Stefanina ci sono tre persone, una donna e due uomini, tutti riuniti alla Corte del Re. Al mio arrivo, su invito del Sovrano, tolgono il disturbo, lo salutano con riverenza e quasi balbettano nell’augurargli una buona giornata. Gli vado incontro, sorrido, spero non mi sbrani, lui ricambia il sorriso e mi stringe la mano, stritolandomela. È un omone di sessant’anni dal fisico possente, pesa 118 chili, è alto un metro e novanta, capelli e baffi bianchi, con un’ottima dialettica e un’elevata cultura. Mi fa accomodare e, mentre gustiamo il caffè italiano, iniziamo la nostra chiacchierata che terminerà dopo un paio d’ore. Innanzitutto gli chiedo se sia consapevole di incutere terrore nei confronti dei suoi dipendenti; lui se la ride e m’invita a parlare di cose serie. Allora gli spiego che mi piacerebbe capire cosa l’abbia spinto a rischiare il suo denaro, e non stiamo parlando di briciole, in quest’angolo d’Africa sconosciuto ai più. “Per capirlo – dice – dobbiamo fare un passo indietro di vent’anni”. È il 1992, anno di tangentopoli. In Italia, Mani pulite colpisce anche il mondo imprenditoriale. Tutti sono marchiati come “mariuoli”, compreso chi, come lui, è estraneo alla vicenda. L’economia del Paese subisce un freno senza precedenti, qualsiasi settore soffre, primo tra tutti, quello edilizio: gare d’appalto sospese a tempo indeterminato e sigilli a numerosi cantieri, per permettere ai magistrati di compiere i dovuti controlli. L’ing. Stefanina, che fino a quel momento aveva vissuto anni d’oro, realizzando innumerevoli costruzioni, dal Lago di Garda alla Sardegna, si ritrova, da un giorno all’altro, oltre che senza lavoro, al centro di una spietata caccia alle streghe, conseguenza di uno scandalo destinato a cambiare la storia del Paese. La musica è finita, un’epoca si è chiusa e nulla sarà più come prima. E allora cosa fare? Due le opzioni sul tavolo dall’ingegnere: restare in fiduciosa attesa, sperando in una ripresa, seppur improbabile, del settore, oppure fare le valige e cercare fortuna altrove. La scelta è presto fatta: non resta che emigrare.
È il 1993 quando decide di perlustrare l’Africa. Vuole investire i suoi risparmi nel turismo, costruendo villaggi vacanza per milanesi stressati, possibilmente su un’isola vergine, baciata dal sole e bagnata dall’oceano. La scelta cade su una delle isole Bijagos, che l’ingegnere riesce ad acquistare dal Governo locale, per 120mila dollari. Crede sia il luogo ideale dove “fare l’uovo”, per questo fa arrivare sul posto una baracca da cantiere e la utilizza come casetta per vivere qualche giorno all’insegna dell’avventura, che terminerà quando i suoi occhi incroceranno quelli di un boa e di una famiglia d’ippopotami, ospiti indesiderati della sua isola. “Va bene l’avventura, ma questa è un po’ troppo estrema, i milanesi stressati non gradirebbero”, sussurra l’ingegnere. Niente uovo dunque, per non rischiare di ritrovarlo strapazzato.
Con una valigia piena di delusione, va all’aeroporto, dove incontra un gruppo di viaggiatori caboverdiani, che lo convincono a visitare Cabo Verde, arcipelago di dieci isole di origine vulcanica, a due passi dall’Africa. È così che si ritrova a Praia, la capitale, subito scartata perché non adatta al suo progetto. Deluso, torna all’aeroporto, questa volta convinto più che mai di far rientro nel Bel Paese. Non esistono voli diretti, quindi non gli resta che prendere l’aereo, destinazione Sal, altra isola dell’arcipelago, sede dell’aeroporto internazionale. Da lì salirà su un volo per l’Europa.
Purtroppo però, qualcosa va storto e l’aereo sul quale viaggia, a causa di un problema tecnico, è costretto a un atterraggio d’emergenza a Boa Vista. Dopo una sosta obbligata, necessaria a riparare il velivolo, riparte finalmente per Sal, giungendo a destinazione in ritardo di diverse ore rispetto al programma, fatto che costerà all’ingegnere la perdita del volo che l’avrebbe riportato a casa e la sosta obbligata sull’Ilha do Sal per ben tre giorni, in attesa di un nuovo volo internazionale. A questo punto non gli resta che godersi la vacanza, seppur forzata.
Cerca alloggio in una piccola pensione, il Morabeza, oggi hotel di lusso, che si trova in un paese, Santa Maria, a pochi chilometri dall’aeroporto. Decide di approfittare del contrattempo per rilassarsi, con lunghe passeggiate sulla spiaggia, tra saline e dune, uno spettacolo che rapisce Stefanina al punto da fargli pensare che i milanesi stressati pagherebbero oro, per lasciarsi cullare dai suoni idilliaci, emanati da questo luogo incantato. A frenarlo, il fatto che non ci abbia già pensato qualcun altro. “Dove sta la fregatura?” – si chiede. Decide di scoprirlo perlustrando il territorio in lungo e in largo. Cerca di affittare una macchina; cinque quelle presenti sull’isola, tutte di proprietà di caboverdiani facoltosi, restii a privarsi del loro bene di lusso. Ostacolo difficile da sormontare. Dopo mille peripezie trova un volontario, automunito, che si offre come suo cicerone personale. Parla solo portoghese e l’ingegnere non capisce una parola. Inoltre, guida la sua Suzuki come fosse un quad, sfrecciando sulla sabbia, salendo e scendendo dalle dune, fino ad arrivare a toccare l’oceano con le ruote dell’auto, che impiegano un secondo a piantarsi nell’acqua. Il caboverdiano, per niente preoccupato, prende una fune dal cofano, lega la sua Suzuki e invita l’ingegnere a tirarla verso di sé, per evitare che la sua macchina, nuova di zecca, finisca inghiottita dalle acque dell’oceano. Poi sparisce, alla ricerca di aiuti che arriveranno dopo un paio d’ore, con Stefanina stremato, e con le braccia atrofizzate.
Finita la disavventura, l’ingegnere invita i suoi salvatori a cena, ed è davanti a un piatto tipico locale che inizia con loro una bella amicizia. Chiacchiera soprattutto con José, l’unico che conosce il francese come lui. Un personaggio influente, con molte conoscenze politiche, che gli spianerà la strada per i suoi investimenti sull’isola…
Tra una cena e l’altra arriva l’ora della partenza. Stefanina questa volta di tornare a casa, non ne ha nessuna voglia ma, deve farlo. Il rientro è scioccante, lui si sente diverso e tutto ciò che prima di quel viaggio aveva un senso, adesso non l’ha più.
Ha un unico pensiero, tornare su quell’isola magica che gli ha fatto vivere emozioni indescrivibili; è sempre più convinto che sia il posto giusto dove fare l’uovo. Per questo vi spedisce in missione un suo amico nullafacente, cui chiede resoconti giornalieri su vita, morte e miracoli del luogo. I rapporti sono quotidiani: il paese è democratico, il clima è caldo tutto l’anno, la sabbia è bianca, la gente è solare, gli uomini hanno gli addominali scolpiti e le donne sanno farsi amare. C’è tutto ciò che un turista possa desiderare, tranne strutture adatte ad accoglierlo: BINGO.
Stefanina organizza così, quella che ama definire “la spedizione punitiva”, datata 24 marzo 1993. Non viaggia da solo ma porta con sé otto persone. Ad attenderlo all’aeroporto c’è José, il suo angelo custode, che l’accompagna a un incontro importante, con i membri del Governo locale. I politici guardano Stefanina e gli pongono subito la domanda decisiva: “I soldi li ha?” Lui risponde di sì e che farà grandi cose per questo luogo, fino a ieri di nessuno. Promette grossi investimenti e, in cambio, chiede una legge che preveda agevolazioni fiscali per imprenditori che, come lui, vogliono cambiare la faccia del Paese. L’accordo è presto fatto. Stefanina compra così 30 ettari di terreno – per chi conosce Sal, dall’hotel Morabeza a dove oggi c’è l’hotel Riu – ovviamente tutto edificabile e vista oceano. Grazie a qualche regalino, riesce a ottenere dai politici l’approvazione di tutti i suoi progetti, il primo si chiama Djadsal: un alberghetto di diciotto camere e tante villette, da vendere a italiani danarosi. I lavori, con tutte le difficoltà legate alla mancanza di materiale sull’isola, iniziano a giugno del 1994: le donne spaccano le pietre, gli uomini imparano a fare i muratori e Stefanina, armato di megafono, guida la flotta, all’insegna della bestemmia libera.
Ai tempi Santa Maria contava 150 abitanti e tutti lavoravano per lui, così come gli uomini e le donne degli altri paesi, desiderosi d’imparare nuovi mestieri ma soprattutto d’incassare 10 dollari a settimana e mangiare la catchupa, piatto tipico locale, che il Capo faceva preparare quotidianamente, da una donna del paese, per sfamare il suo esercito. In questo periodo lui mangia poco e dorme di rado, le preoccupazioni sono tante, ha investito tredici miliardi delle vecchie lire nella terra di nessuno, ora per metà di sua proprietà, dove anche le operazioni più semplici sono a dir poco complicate. Quando ormai i lavori sono a buon punto, l’ingegnere fa amicizia, in aereo, con un signore tedesco e inizia a parlargli del suo ambizioso progetto. L’invita a Sal e lui accetta. Poco tempo dopo il tedesco si reca sull’isola. Fa una breve sosta al Morabeza, il tempo necessario a posare le valige, e si reca sul cantiere di Stefanina, ormai alle battute finali. Resta in silenzio per qualche minuto, poi rivolgendosi all’ingegnere dice: “Lei sta sbagliando tutto, le villette non hanno senso; se non vuole fallire, faccia un villaggio turistico”. L’ingegnere rimane impietrito e comincia a mettere in discussione quanto fatto fino a quel momento. A perseguitarlo, da quell’istante, una domanda ricorrente: “E se il tedesco avesse ragione?” Come risposta a questo quesito, brucia il progetto iniziale, del quale rimarrà solo il nome. Alberghetto e ville lasceranno spazio così, al primo villaggio turistico dell’isola: il Djadsal.
Subito dopo, crea una sua agenzia turistica, tuttora operativa, la CaboVerde Time e come ciliegina sulla torta, convince il Governo locale a comprare un aereo per voli internazionali Italia – Cabo Verde: un Boeing 757, destinato a cambiare la vita degli abitanti del luogo.
Il primo volo diretto, Bergamo – Sal, decolla alle ore 18:00 del 16 giugno del 1996. Sessantadue operatori turistici arrivano al villaggio Djadsal dal Bel Paese, desiderosi di scoprire le bellezze dell’isola, per poi proporle ai propri clienti italiani. Il villaggio è pronto solo a metà ma poco importa.
Stefanina è nascosto dietro i pilastri, pronto a osservare le facce dei visitatori, per carpire dai loro sguardi il grado di soddisfazione. Non sa che a breve il serbatoio dell’acqua potabile, che sarebbe servito a rifornire le stanze degli ospiti, volerà per aria dopo il crollo di una delle sue quattro pareti in cemento armato, creando un effetto bomba, una volta raggiunto il pavimento e inondando un’area del villaggio. L’ingegnere, notevolmente in imbarazzo, comunica ai turisti che dovranno fare a meno dell’acqua per un po’, aspettandosi una reazione da panico, invece nessuno si lamenta, anzi, tutti capiscono la situazione e si mettono a sua disposizione per aiutarlo a sistemare la faccenda e a migliorare il servizio offerto. Qualcuno finisce addirittura in cucina, a insegnare l’arte culinaria italiana ai cuochi improvvisati, scelti a caso tra la folla, uomini che fino al giorno prima, facevano i muratori. Merito, secondo l’imprenditore bresciano, “del potere di questa terra di nessuno, dove tutti si sentono protagonisti”.
Dal mese successivo il villaggio registra settimanalmente un tutto esaurito, con turisti non curanti dei prezzi alle stelle, fatto che scatena nella mente dell’ingegnere la moltiplicazione delle idee. Apre diversi cantieri, rendendo stabile l’ingresso economico della gente del luogo, regala ai propri operai il materiale necessario a costruirsi una casa e cerca di trasmettergli la cultura della famiglia, del lavoro e del risparmio senza riuscire in alcuna delle tre ardue imprese. Gli riesce invece, e bene, tutto il resto. Si sveglia al mattino, inventa un progetto e il giorno dopo lo trasforma in realtà.
Con lo slogan: “prezzi massimi, villaggi al completo”, costruisce altri hotel, tra tutti quello di Mindelo, datato 1997. Due anni dopo riuscirà ad acquistare anche le saline naturali di Pedra de Lume, comprate da un francese, a una cifra nettamente inferiore alle aspettative. Si tratta di un’area d’immenso valore, già patrimonio naturale, storico e culturale nazionale, da poco al centro di una battaglia politica per la candidatura a Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Oggi Pedra de Lume è un piccolo villaggio con pochi abitanti, che vorrebbero riprendere la produzione del sale, attualmente prodotto solo per il consumo locale, business che non interessa al proprietario. Stefanina preferisce puntare sui tanti turisti che quotidianamente fanno il loro ingresso alle saline, per galleggiare nell’acqua terapeutica. Piscine naturali, profonde in media un metro, con un’acqua che è 35 volte più salata del mar Morto. L’ingresso costa 5 euro ma i caboverdiani, per scelta dell’imprenditore, entrano gratis. Trecento la media degli ingressi giornalieri.
Dopo le saline arrivano gli hotel di Boa Vista e Santo Antao e, nel 2001, il momento delle cessioni. Il primo acquirente è Alpitour che compra un terreno sull’oceano e vi realizza il villaggio Farol, tuttora esistente; poi Stefanina vende un altro terreno, dove sorgerà il Crioula, costruito da un gruppo d’imprenditori italiani, villaggio che ricomprerà anni dopo. Le vendite non si fermano qui. L’ingegnere vuole capitalizzare, per diversificare gli investimenti. L’obiettivo è chiudere il capitolo villaggi, a vantaggio dei residence. Il primo lo chiama Djadsal Residence: 48 appartamenti con piscina, sicurezza interna, tanto verde. Li vende in un attimo. Il secondo, il Djadsal Moradias, conta mille appartamenti, ne vende più di metà, soprattutto agli inglesi che, dato il periodo magico vissuto dal loro Paese, comprano dappertutto. Il passo successivo è l’industrializzazione della costruzione: siamo nel 2005 e Stefanina crea sull’isola di Santo Antao un cementificio, acquista due navi, per i trasporti nazionali e internazionali, e apre a Palmera, località a cinque chilometri da Espargos, lo stabilimento dei prefabbricati. Intanto sull’isola continuano ad atterrare nuovi imprenditori, italiani, inglesi, tedeschi, portoghesi, tutti col denaro in tasca e i progetti approvati, sono loro a mettere la parola fine al monopolio dell’industria del turismo e delle costruzioni, firmato Stefanina. Lui non mostra segni di preoccupazione, sa che il piatto offerto dall’isola è ricco e in grado di sfamare tutti. Peccato che né lui, né tantomeno gli altri, abbiano previsto la crisi del mercato immobiliare datata 2008, che segna l’inizio del declino.
La crisi non fa sconti neanche al pioniere del turismo sull’isola, reo di aver peccato troppo d’ottimismo. I suoi clienti inglesi bloccano i pagamenti delle case acquistate sulla carta, quindi ancora in costruzione, creandogli non pochi problemi. Due blocchi del complesso residenziale Djadsal Moradias, rimangono invenduti e i lavori sospesi. Non c’è più liquidità e non è il momento di vendere, anche se sarebbe il caso di svendere. Meglio sedersi sulla riva del fiume e aspettare che il periodo nero passi, almeno questo è ciò che sta facendo l’ingegnere oggi, stanco di lottare contro i mulini a vento. Non è più ottimista come vent’anni fa ma, resta convinto che presto a Cabo Verde la musica tornerà a suonare. Chissà se, anche questa volta, toccherà a lui dirigere l’orchestra…

Ciao Carmen, un caro saluto!
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Ciao, grazie mille.
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Più che un commento è una richiesta di informazioni e di aiuto. Sono pensionata e desidero trovare il posto giusto dove trasferirmi al più presto. Un italiano in più a Capo verde.
Ti chiedo gentilmente se puoi aiutarmi a trovare casa in affitto, credo sua la prima cosa da fare. Non so da dove partire, non ho trovato giornali di annunci. Se hai un po’ di tempo da dedicarmi ti lascio recapiti.
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