
INTERVISTA A MICHELA ROSSIN.
Di Carmen Vurchio
Michela Rossin è una splendida donna di 42 anni, vittima di violenza fisica e psicologica da parte di un uomo che amava e che sembrava ricambiasse questo nobile sentimento. Non è stato facile per lei uscire dal tunnel, ma è stata forte e ce l’ha fatta. Oggi è una donna diversa. Oggi è LIBERA E SICURA. E vorrebbe che lo fossimo tutte.

Ciao Michela, innanzitutto come stai?
Oggi posso dire che il periodo di sofferenza e violenza sia definitivamente alle spalle. Merito di un lungo percorso che ho intrapreso anni fa e che mi ha permesso di imparare ad amarmi. Sembra banale ma non lo è affatto. Molte donne non si vogliono bene, si annullano per il prossimo: il proprio uomo, i propri figli, i propri cari. Ma queste donne devono comprendere che se non si ama se stessi, difficilmente si può dare il giusto amore agli altri. Se poi l’amore si da alla persona sbagliata, la mancanza di autostima fa diventare quella donna una vittima ideale: quella che non reagirà, quella che giustificherà il suo carnefice e che soffrirà in silenzio per sempre. Per questo ho creato il progetto “Libera e Sicura”: per insegnare, nel mio piccolo, alle donne che vorranno fidarsi di me, cosa sia necessario fare per iniziare ad amare se stesse, in totale libertà e in assoluta sicurezza.
Hai già tante donne che ti seguono?
Ho un sito (https://michelarossin.it), sono su fb, su Instagram. I social sono importanti. Arrivano direttamente a chi ne ha bisogno. Basta un click. Un tempo non era così facile trovare aiuto. Oggi chi vuole può farlo e il fatto che contattino anche me, mi fa tanto piacere. Sono diverse le persone che mi seguono e che decidono di partecipare ai miei corsi, di farsi aiutare, sempre in punta di piedi, senza insistenze o inutili pretese. Devo dire che la mia più grande fan è Elena, mia figlia, che oggi ha 22 anni. Grazie a lei sono stata contattata dal liceo Roccati di Rovigo. Ho insegnato agli allievi un metodo di prevenzione e di difesa e devo dire che ho raccolto consensi positivi da tutti i ragazzi. Questa è stata per me una grandissima soddisfazione e anche per mia figlia, avuta dal mio ex marito, sposato quando avevo 20 anni. Ma non è stato lui a maltrattarmi, anzi. Lui con me si è sempre comportato da gentiluomo. Dico questo per sottolineare un fatto importante: non bisogna fare di tutta l’erba un fascio. Gli uomini non sono tutti uguali.
E’ vero. Ma è altrettanto vero che sono tante le donne vittime di violenza. Tu stessa hai vissuto questa terribile esperienza sulla tua pelle. Come si fa a finire, diciamo così, tra le braccia sbagliate?
Quello che sto per esprimere è un concetto forte, che sicuramente molti commenteranno in modo negativo. Ma non importa. Io devo dire ciò che penso. Non credo che una donna subisca violenza per puro caso, o per sfortuna. Nulla accade per caso. Ciò che voglio dire è che quando vi è una vittima è perché il suo aggressore la decodifica come tale. Succede esattamente come nel regno animale: un leone sceglie una preda semplice da catturare, magari quella più fragile e lontana dal branco. La stessa cosa accade con noi: un aggressore per strada sceglie la sua vittima perché distratta, in uno stato di totale rilassamento. Quando invece si parla di violenza domestica le regole cambiano e l’aggressore, (di solito un familiare, parente o partner), attua un rituale ben preciso chiamato da Lenore Walker negli anni settanta “Il ciclo della violenza”, che al suo interno ha decodificate tre fasi. La prima fase è quella verbale: la donna vive in una continua tensione, l’uomo è spesso nervoso e il suo comportamento ambiguo crea confusione nella donna, che teme di essere abbandonata e quindi inizia a modificare il suo comportamento. Nella seconda fase inizia la violenza fisica. Nella terza c’è la riappacificazione: l’uomo chiede perdono e promette che non accadrà mai più un episodio del genere. Bugie, solo bugie: l’inizio del vero calvario, perché da quel momento gli episodi saranno sempre più frequenti e pericolosi. La riappacificazione crea nella donna/vittima una forma di dipendenza psicologica, ovviamente malata, e nel contempo porta l’uomo a sentirsi sempre più forte, in quanto vede aumentare considerevolmente il suo potere.
La società nella quale viviamo, ha delle colpe?
Io credo che noi donne siamo considerate dalla società soggetti fragili e deboli, da secoli or sono. Ci abbiamo creduto per molto tempo e ancora oggi veniamo spesso declassate. La svalutazione è dentro d noi. E’ nel nostro DNA. Non per colpa nostra. Ce l’hanno iniettata. Per questo abbiamo costantemente bisogno di conferme da parte dell’esterno: in poche parole, abbiamo un bisogno vitale di essere e di sentirci amate. Sai benissimo che veniamo costantemente bombardate dai media e dalle pubblicità: messaggi negativi del tipo “non sei abbronzata”, “non sei più giovane”, “sei piena di rughe”, “hai la cellulite e non vai bene”, “acquista questo macchinario, così tornerai in forma”, “sei grassa, non vai bene, compra questo medicinale”, e così via. Ci sarebbe moltissimo da dire in merito a questo argomento. Ma…a buon intenditore, poche parole.
Tornando a chi ti ha fatto del male, cosa puoi raccontare di lui?
Preferisco non fare nomi e non entrare troppo nel dettaglio, perché non voglio riaprire quella ferita ormai rimarginata, ma capisco anche che parlarne può servire a me così come alle tante donne che soffrono in silenzio. Ho conosciuto l’uomo che mi ha fatto del male all’età di 28 anni. Lui era così bello, determinato, affascinante e intraprendente. Si curava molto e sapeva cogliere i bisogni di una donna, ma nel contempo ne studiava le debolezze. Non lo faceva certo per aiutarla a vincerle, quelle debolezze, ma per utilizzarle contro di lei, in questo caso contro di me. Io pensavo mi amasse, almeno…inizialmente le sue parole parlavano d’amore, ma con il passare del tempo la situazione cambiò e mi ritrovai a vivere un incubo durato troppo a lungo.
Quando e perché è scattato in lui il cambiamento?
Non ha mai cambiato carattere, in realtà. Ero io che, per paura di reagire, accettavo qualsiasi suo sbalzo d’umore. A volte mi ritenevo responsabile di ciò che accadeva e cercavo di fare la brava il più possibile. Nonostante il mio enorme impegno, o forse è più corretto parlare di sforzo, non riuscivo a tenere a bada i suoi momenti di follia. Era sempre colpa mia se lui si arrabbiava. Era molto possessivo e geloso. Non mi faceva vivere una vita normale. Voleva sempre sapere cosa facevo, chi frequentavo e dov’ero. Ero sempre, perennemente, sotto controllo.
Ha iniziato subito a picchiarti?
I maltrattamenti inizialmente erano prettamente psicologici. Era capace di adularmi ripetendomi fino allo sfinimento che ero una delle più belle principesse mai viste, per poi cambiare tono e toni, arrivando a chiamarmi “cagna, puttana, troia”. Mi diceva sempre: “sei piccola come un insetto insignificante”. Insomma dovevo subire ogni giorno le peggiori offese mai sentite in vita mia.
Ma non reagivi?
Certo che reagivo, quando potevo. Purtroppo la paura e il suo modo di porsi, mi facevano sempre fare un passo indietro. Era come un incantatore di serpenti. Mi immobilizzava. Forse tu non puoi capirmi, perché non l’hai vissuta, ma le donne maltrattate sanno a cosa mi riferisco.
Credo tu abbia ragione. Quando una donna racconta la propria sofferenza, chi non si immedesima sottovaluta il problema. C’è addirittura chi pensa che sia tutta un’esagerazione, che la colpa non sia mai da una parte sola. Insomma si fa fatica a credere alle vittime. E’ assurdo, ma è così. Per questo, a mio avviso, non bisogna mai stancarsi di parlarne, di sensibilizzare l’opinione pubblica, di cambiare la testa di quella parte della gente che crede solo a ciò che vede. Perché se si aspetta di vedere i segni di una violenza, quelli fisici, si perde tempo e magari quando si decide di intervenire quel tempo per la vittima è finito. Sei d’accordo?
Certo. L’ho vissuto sulla mia pelle. Una volta sono finita anche in ospedale. Io l’ho denunciato e poi ci ho messo una pietra sopra. Ho voltato pagina ma non ho dimenticato. Sono convinta che quello che faceva lui con me lo facciano altri uomini con altre donne: vanno fermati. E a fermarli dobbiamo essere noi donne. Come? Ricominciando ad amarci.
E’ il carnefice a renderti fragile e insicura?
Ovvio. Nel mio caso, lui aveva iniziato dandomi della stupida, dell’incapace, mi diceva che non valevo nulla. E dava sempre a me la colpa per qualsiasi cosa. Col passare del tempo le parole sono diventate sempre più offensive e pungenti. Insulti che giorno dopo giorno si insidiavano nella mia mente, al punto da portarmi a pensare che io fossi veramente una nullità. Che fossi io quella sbagliata. La sua abilità stava nel fatto che alternava i momenti di follia, caratterizzati da forti litigi, a momenti di passione, per poi tornare alle minacce e alle percosse fisiche, soprattutto quando cercavo di ribellarmi. Mi confondeva e mi spiazzava. Ho passato momenti molto difficili e anche di paura. Avevo perso completamente il sorriso e la rabbia mi rodeva dentro. Non potevo andare avanti in questo modo, mi stavo facendo del male da sola. Ho impiegato anni a capire che dovevo troncare definitivamente la relazione con questa persona, per poter tornare ad essere protagonista della mia vita.

Cosa porta una donna a subire in silenzio, a non denunciare?
Fondamentalmente la paura. O meglio le paure, perché sono tante: la paura di subire ulteriori violenze, fisiche e psicologiche, la paura di non riuscire a mantenere i figli, la paura di non trovare nessuno che ci possa dare una mano. Perché una donna che subisce violenza, si sente sola e persa. Sopporta in nome dell’amore, pensando, prima o poi, di riuscire a cambiare il proprio uomo, ma non è così. Se un uomo picchia una donna non è da giustificare ma solamente da condannare. E’ uno “stronzo” e quando picchia, lo fa con coscienza e con lucidità.
Quindi cosa consigli a queste donne imprigionate in un amore malato?
Dico loro di ricominciare a volersi bene, come ho fatto io. Oggi sono una donna forte, mi piaccio, mi amo. E non permetterò mai più a nessuno di mancarmi di rispetto. Spero che la mia esperienza possa servire a qualcuno. Una parte di me ne è convinta. Per questo ho deciso di creare LIBERA e SICURA: per dare l’opportunità a tutte le donne, grazie alla mia esperienza, di imparare a difendersi. Sembrerà strano ma il primo passo è ricominciare ad amare se stesse. Il messaggio che ripeto sempre, indirizzato a chi ha subito o subisce violenze è molto semplice: “ricordati che la vita che stai vivendo è la tua e solo tu puoi cambiarla. Care donne, non vergognatevi di raccontare quello che vi succede o che vi è successo, perché non siete voi quelle sbagliate. Voi siete le vittime. Ma siete voi e solo voi a poter decidere di dire basta. Io ho impiegato sette anni a farlo. Ero troppo legata a quel rapporto malato. Sganciarmi non è stato facile. Ho dovuto lavorare sulla mia testa, sui pensieri, sulle emozioni. Fino a quando ho capito che per sopravvivere dovevo imparare ad amare me stessa, cosa molto difficile perché nessuno me lo aveva insegnato”.
Hai anche appreso metodi di difesa personale che oggi insegni agli altri. Oggi ti senti più forte anche grazie ai corsi che hai frequentato?
La pratica costante dello sport Krav Maga, ha contribuito a far crescere la mia autostima. Per questo decisi di certificarmi diventando allenatrice del metodo SDS concept, grazie a uno dei migliori maestri a livello nazionale: Mario Spillere. Durante tutto il mio percorso di difesa personale compresi però che non era sufficiente imparare a difendersi per vivere una vita serena e in sicurezza, ma era necessario imparare a prevenire e adottare comportamenti che evitassero totalmente lo scontro diretto. Qui conobbi Mario Furlan e il suo metodo Wilding di autodifesa istintiva basato sulle 2 P: psicologia e prevenzione. Decisi di certificarmi anche in questo metodo come coach Wilding autodifesa istintiva, riconosciuta dall’Associazione italiana Coach, presieduta da Gianluigi Rando.

Quindi oggi stai bene?
Diciamo che mi sento rinata. Certo, la sofferenza è durata a lungo ma me ne sono liberata. Pensa che quando sono riuscita a voltare pagina, ho iniziato a vedere in me una bellezza mai riconosciuta prima. Io che mi sentivo così brutta, per colpa sua che mi faceva sentire così inutile. Ci credi se ti dico che per gioco e per curiosità ho partecipato anche a vari concorsi di bellezza? E sai cosa è successo? Nel 2012 sono stata eletta addirittura Miss Mamma Fashion. Pazzesco. Un’esperienza fantastica che porterò per sempre nel cuore. E dato che da cosa nasce cosa, grazie a questo concorso ho conosciuto Luca Lo Presti, presidente dell’Associazione Pangea, che si batte per i diritti umani a livello internazionale. Ho collaborato con lui per una raccolta fondi, come volontaria. Pangea mi ha fatto comprendere che non ero la sola vittima di violenza psicologica e fisica ma che erano tante le donne che subivano, spesso in silenzio. Anche per questo ho deciso di iniziare a divulgare messaggi d’amore rivolti a noi stesse, con l’aiuto di altre donne come Cinzia Sguotti, presentatrice di concorsi di bellezza e grande sostenitrice di Pangea, associazione che è nel mio cuore, tanto che presto tornerò a collaborarci, grazie a Libera e Sicura.
E in questo momento sei qui con me, a Cabo Verde, a seimila chilometri dalla nostra bella Italia. Come sei finita nella terra del no stress?
Il merito è di un mio grande amico, Gabriele Punzo, giornalista stimato a Varese. Tempo fa mi propose di girare un documentario a Cabo Verde. E da allora ogni tanto faccio tappa qui. Mi rilasso, mi ricarico e poi torno a lavorare per rendere sempre più importante il mio progetto fatto di amore, prevenzione, difesa ma anche di arte e colori. Credo sia necessario esprimere liberamente la propria creatività, per sprigionare il personale potere femminile. In questo modo il nostro mondo interiore cambia e la fiducia in noi stesse aumenta. Rivalutando noi stesse, tutto il mondo che ci circonda si trasforma e le nostre vite, così come quelle dei nostri figli, cambiano.
Ci puoi consigliare dei libri sull’argomento, che magari ti sono stati particolarmente utili?
Consiglio a tutte le donne di leggere l’eBook gratuito, messo a disposizione dall’associazione DI.RE, “Donne in rete contro la violenza”. A me è stato molto utile per comprendere concetti che nessuno mai mi aveva trasmesso. Questo potrebbe servire per compiere un primo passo verso la libertà.
Importante per me è stato anche il libro “Puoi guarire la tua vita”, di Louise Hay. Un’americana che fin da piccola subì violenze di ogni genere, ma che a quarant’anni decise di cambiare vita, assumendosi la responsabilità della propria felicità. Creò un metodo che si basa sul conoscere i propri pensieri negativi in profondità, trasformandoli in pensieri positivi. Dato che leggendo la sua storia, mi sono rivista in lei, ho deciso di diventare insegnante e coach del suo metodo: Heal Your Life.
Quindi anche tu vuoi aiutare le donne a ritrovare la propria libertà. Perché dovrebbero fidarsi di te?
Perché sono certa di poterle accompagnare verso una nuova visione di loro stesse. Mi sento di dire loro che dobbiamo creare un cerchio delle donne: la sorellanza. Perché l’unione fa la forza e noi donne insieme siamo una potenza. Meritiamo di sentirci Libere. Meritiamo di sentirci Sicure. Meritiamo di ricominciare a volare.

L’ha ribloggato su phehinothatemiyeyelo – Vento nei Capellie ha commentato:
Sorelle,leggete bene questa splendida intervista dell’amica Carmen Vurchio. E se come me avete la fortuna di avere un uomo vero accanto vigilate affinché quelli che non lo sono stiano alla larga dalle vostre figlie,amiche,sorelle….
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Grazieeee
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