Era tanto che non tornavo in Italia. Avevo proprio voglia di respirare l’aria della mia Terra, anche se quella di Torino, la mia città, dicono sia molto inquinata.
Acquisto il biglietto Sal – Bergamo, andata e ritorno. Parto con i miei due cagnolini, due cocker, che purtroppo devono viaggiare in stiva.
Una volta in aeroporto, faccio accomodare Giasone e Medea, loro malgrado, in due trasportini: in pratica gabbie rinforzate. Prendo due carrelli, uno per cane, così riesco a sistemare anche le valigie. I carrelli all’aeroporto di Sal (Cabo Verde), sono GRATUITI.
Dopo sei ore di volo, e un atterraggio decente, mi ritrovo ad abbracciare la mia cara Italia, che mi ha vista fuggire nel 2011 e mi vede rientrare, per farle un rapido saluto, due o tre volte l’anno.
Penso dentro di me: “Quanto mi sei mancata.” Ma la commozione dura poco. Ho troppe cose da fare. Non sono a Cabo Verde, dove tutto si muove lentamente. In Italia si corre e chi si ferma è perduto. Corri per il controllo passaporti, corri a recuperare i bagagli, corri a vedere da quale porta ti consegneranno i cani ma soprattutto corri a prendere i carrelli, senza i quali solo Wonder Woman riuscirebbe a caricarsi tutto quel peso e a lasciare l’aeroporto al volo.
Con l’affanno, arrivo davanti alle istruzioni per disincastrare il carrello della salvezza e quasi svengo nel leggere quanto scritto sul monitor: “COSTO DEL SERVIZIO 5 EURO.”
Cinque euro? Ma siamo matti? Per due minuti di utilizzo di un carrello? Senza senso. Il primo istinto è quello di rifiutarmi di strapagare ma è la realtà dei fatti a farmi tirare fuori dieci euro per due carrelli.
Mentre inserisco le due banconote da cinque euro nell’apposita fessura, mi sale il sangue al cervello. Mi sento derubata ma non è così. Perché i soldi li ho inseriti volontariamente, anche se, a dirla tutta, l’ho fatto solo perché non avevo alternative. Mi viene in mente una delle battute di Totò, che quando sono in Italia ripeto spesso: “E io pagooo. E io pagoooo”.
Caricati baracca e burattini, mi siedo un attimo a osservare la reazione di coloro che hanno viaggiato con me, tanto per capire se sono io la solita esagerata. Si dirigono verso i carrelli, leggono il prezzo, imprecano e ne fanno a meno. Si caricano i bagagli sulle spalle, e fanno un gestaccio a chi ha tentato di alleggerire le loro già leggere tasche. Certo, non hanno cani con relative gabbie al seguito, ma rischiano ugualmente di spezzarsi la schiena, pur di non regalare denaro sudato.
“L’anno scorso costava tre euro ed erano già tanti” – mi dice la mia amica Stefania, che viaggia sempre su Bergamo, anche lei col cane al seguito. “Si lamentano tutti perché non è possibile. Cinque euro per due minuti. E stiamo parlando di soldi a perdere. Perché, capisco se poi rimetto a posto il carrello e mi vengono restituiti, ma così no!”
“In quasi tutti gli aeroporti del mondo i carrelli sono gratuiti. GRATUITI. Noi doppiamo sempre differenziarci”- aggiunge Antonio.
Per chi non viaggia, è un problema da niente. Per i fornitori del servizio (A.P.S. srl) è un buon business. Per chi si concede una vacanza ogni tanto, probabilmente è solo un “Bentornato a casa”: il Paese dove si inizia a pagare quando si “atterra” e si finisce, forse, quando si “decolla”.