
Non sapevo si chiamasse Erin Moran. Per me è sempre stata Sottiletta: educata, ingenua, sorridente, serena. Era così in Happy Days. Da bambina e da ragazzina: la Joanie Cunningham, sorella di Richie, amica di Fonzie.
Ricordo ancora la sigla e mi verrebbe da canticchiarla ma la sofferenza per la fine della vita di colei che nell’immaginario collettivo era la “figlia perfetta” e che perfetta invece non era, me lo impedisce.
Non sapevo che avesse 56 anni. Non sapevo che fosse passata dall’essere ricca e famosa all’essere povera e disperata: viveva in un camper, senza un dollaro. Non sapevo che bevesse e si drogasse, come si legge su tutti i siti. Non potevo immaginarlo.
In realtà avevo smesso di pensare a lei, una volta terminato Happy Days. E, a quanto pare, non sono stata l’unica.
Sarebbe morta per “overdose di eroina” ma per averne certezza servirà attendere i risultati dell’autopsia.
Certo è che non finirà mai di scrivere quel libro che forse avrebbe spiegato a tutti noi come ha vissuto il passaggio dalle stelle alla povertà, dal successo alla solitudine, dalla gioia alla depressione: Happy Days, Depressing Nights.
A volte capita di invidiare questi personaggi, di voler quasi fare a cambio con le loro vite. Nel contempo ignoriamo il fatto che alcuni di loro farebbero o avrebbero fatto volentieri a cambio con la nostra di vita, seppur lontana anni luce dai riflettori.
Riflettori che illuminano solo finché qualcuno non li spegne.